L’antico monumento non è attualmente visitabile in quanto è in ristrutturazione
Storia
La Rocca dei Boiardo risalente al XII° secolo, domina il centro storico ed è senza dubbio un monumento di grande valore storico e culturale; fatta costruire dalla nobile famiglia dei Da Fogliano, oggi prende il nome dalla famiglia Boiardo che l’abitò dal 1423 per 137 anni. Costruita inizialmente come luogo di difesa, fu per questo dotata di cinta muraria, fossato con annesso ponte levatoio e torri di vedetta.
Divenne in seguito dimora rinascimentale, quando il governo di Scandiano passò nelle mani della famiglia Boiardo e fu allora che Nicolò dell’Abate vi dipinse gli affreschi del Camerino, con scene dell’Eneide, trasferiti alla fine del 1700 a Modena alla Galleria Estense.
Successivamente vi abitarono i Thiene dal 1565 per 58 anni che apportarono modifiche molto significative all’edificio e lo portarono alle forme attuali, affidando il progetto a Giovan Battista Aleotti. A lui si deve l’elegante scalone che introduce al piano nobile, l’imponente facciata sud e l’ultimazione del torrione a ovest. Nei secoli XVII e XVIII i Bentivoglio prima e i marchesi d’Este poi, introdussero a loro volta decorazioni di gusto barocco.
Le numerose modifiche che il castello ha subito nel corso dei secoli rendono difficile la comprensione e la lettura della struttura; in essa convivono diversi stili: medioevale, rinascimentale, barocco e moderno: Le stanze al piano terra, risalenti al periodo cinquecentesco, formano il cosiddetto appartamento estense modificato nella sua veste attuale agli inizi del settecento dai marchesi d’Este; qui si susseguono in tutta la loro bellezza la sala del Camino, in stile rococò e la stanza del Drappo denominata così per un drappo che circonda la volta del cielo del soffitto. La sala delle Aquile, del Festone, e quella dell’Alcova. Uscendo dall’appartamento si attraversa un breve tratto del cortile interno e si arriva al monumentale scalone, opera dell’arch. Giovan Battista Aleotti, detto l’Argenta. A sinistra poi, si trova una porta che conduce ai sotterranei del castello, sede delle vecchie prigioni.
Il Cortile
Il cortile della Rocca presenta molti elementi architettonici che testimoniano le stratificazioni artistiche succedutesi nei secoli. La parete sud mostra ancora una colonna (dell’originario portico quattro-cinquecentesco) con il caratteristico capitello, di gusto tardo medievale, “a foglia d’acqua” . La parte ovest evidenzia (al di sotto dell’ultima cortina muraria settecentesca) diversi stili e consente di riconoscere, sotto gli archi acuti delle finestre, alcune tracce di affreschi monocromi cinquecenteschi.
I Giardini
Il recupero dei giardini della Rocca, ultimato nel 2017, consegna ai visitatori uno spazio che non era mai stato aperto al pubblico in passato perché il complesso boiardesco era una struttura militare, ma anche in tempi recenti, dopo il passaggio in concessione al Comune, perché l’area era completamente impraticabile, piena di detriti e vegetazione spontanea. Un’area abbandonata e semicoperta da molti metri cubi di terra, nel lato sudovest della Rocca, che dopo qualche anno di lavori presenta un affascinante alternarsi di antiche mura e nuovi spazi erbosi, pendii e un terrazzamento sul fossato: nei ritrovati giardini vengono organizzate iniziative culturali, enogastronomiche e spettacolo, ed è inoltre possibile celebrare matrimoni. La sistemazione dei giardini è stata realizzata grazie a importanti risorse statali: altri finanziamenti sono attesi, sempre dal Governo, in particolare sui progetti legati alle città dell’ex-ducato estense.
Appartamento Interno
Sala dell’Alcova
La maggior parte delle pitture della ultima sala, detta “dell’Alcova” risalgono probabilmente al XVIII sec. L’evento narrato sulle quattro pareti ha forse a che fare con una qualche campagna militare Estense. Sulle due pareti lunghe sono raffigurate: la preparazione della campagna militare (secondo moduli stilistici che richiamano “La scuola di Atene” di Raffaello) e la discesa in campo dell’esercito (secondo modi che si rifanno stilisticamente a Nicolò dell’Abate); sulle pareti corte: una divinità guerriera, lo scompiglio nella città vinta e la consegna della città i vincitori.Il percorso di visita prende avvio dall’appartamento Estense, che vede succedersi le stanze di origine cinquecentesca, modificate così come le vediamo allo stato attuale, agli inizi del ‘700 dai Marchesi d’Este. Questo percorso si snoda attraverso le diverse sale, che traggono il nome dal motivo dominante nella decorazione. La “Sala dei Gigli”, ricca anche degli affreschi con vedute di Scandiano, di autore ignoto, la “Sala del Camino” in stile rococò e la “Sala del Drappo” dal prezioso drappo che circonda la volta del cielo sul soffitto, la “Sala dell’Alcova”, che presenta affreschi del ‘700 con scene di battaglia, ed infine la “Sala delle Aquile”, situata nel corpo della torre, dove sono raffigurati i busti di Luigi, Borso, Foresto e Rinaldo d’Este. Le decorazioni di queste sale sono poera del Castellino, noto scultore modenese.
Scalone
Lo scalone monumentale della Rocca è stato concepito nella sua formulazione originaria da Giovan Battista Aleotti all’inizio del 1600. la scalinata a “tenaglia” è successiva di qualche anno e fu probabilmente voluta dalla famiglia Bentivoglio. Le statue in terracotta raffigurano molto probabilmente personaggi della famiglia Thiene e furono realizzate nel 1619 dallo scultore genovese Giovan Battista Pontelli. Sono quattro le statue superstiti che raffigurano, probabilmente, Marcantonio, Ottavio I, Giulio e Ottavio II Thiene.
Cantiere didattico “Sala del Paradiso”
Il feudo di Scandiano, governato dal 1423 al 1565 dai conti Boiardo, si afferma tra le corti padane del XV e XVI secolo, grazie al “buon governo” dei suoi signori raggiungendo un livello elevato di vita sociale e culturale.
In particolare Giulio Boiardo, proseguendo i lavori avviati dal padre Giovanni, dà inizio alla trasformazione del paese e all’abbellimento della rocca: l’edificio, da primitivo fortilizio medievale destinato alla difesa, si trasforma in sontuoso palazzo rinascimentale ornato di pitture, sculture, arredi e preziose suppellettili.
Nell’ambito di questa fase di rinnovamento assume grande rilievo la commissione a Nicolò dell’Abate di eseguire diversi cicli di affreschi, all’interno e all’esterno della Rocca stessa. Questi ultimi, posti sulle pareti del cortile d’onore, sono oggi completamente perduti.
La presenza di Nicolò a Scandiano è documentata tra il 1540 e il 1543 e a questo periodo è riferibile la decorazione dei due ambienti detti “Camerino dell’Eneide” e “Sala del Convito o del Paradiso”, ubicati nell’appartamento del conte al primo piano dell’edificio.
Nel 1772 le decorazioni del Camerino vengono staccate e fatte trasportare a Modena per ordine del duca Francesco III d’Este.
Ignota era pure l’ubicazione della “Sala del Paradiso”, che solo studi recenti hanno identificato nella camera posta sopra la torre d’ingresso. Di questa sala sono conservati alla Galleria Estense di Modena numerosi frammenti, tutti ricavati dalla demolizione della volta e dei pennacchi sui quali si impostava la volta stessa: la parte sinistra del soffitto con il “Convito di Amore e Psiche” e le vele con i “Musicanti”. Non si ha notizia del periodo in cui questi furono staccati: probabilmente anch’essi nell’ultimo quarto del Settecento.
I frammenti di pitture recentemente ritrovati, sorprendentemente affini con quelli conservatia Modena, completano l’apparato architettonico e decorativo della “Saladel Paradiso” e consentono di confermarne l’ubicazione all’interno della Rocca.
Grazie all’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, si è proceduto inizialmente al completo restauro di una delle lunette, intervenendo su questa come su un “oggetto pilota” per mettere a punto una metodologia che diventasse un modello di lavoro valido per tutto il ciclo, in modo da giungere alla redazione di un progetto di recupero di tutte le lunette e dell’intera stanza.
Per valorizzare il ritrovamento della Sala e l’opera di restauro è nata l’idea di un “Cantiere didattico”, di un percorso cioè che consenta al pubblico, anche durante lo svolgimento dei lavori, di visitare la Sala e di immaginarne, mediante una ricostruzione virtuale, il suo volto originario.
Il Paradiso Ritrovato
Nei locali della Rocca di Scandiano sono stati ritrovati frammenti pittorici sorprendentemente affini con quelli conservati alla Galleria Estense di Modena, eseguiti dall’artista Nicolò dell’Abate, che nella Rocca dei Boiardo aveva eseguito diversi affreschi nel periodo tra il 1540 e il 1543. L’Amministrazione Comunale di Scandiano, con il Contributo della Fondazione Manodori e di diverse Aziende locali ha intrapreso un lavoro di restauro e recupero dei frammenti pittorici ritrovati.
La Rocca dei Boiardo risalente al XII° secolo, domina il centro storico della Città di Scandiano ed è senza dubbio un monumento di grande valore storico e culturale; fatta costruire dalla nobile famiglia dei Da Fogliano, oggi prende il nome dalla famiglia Boiardo che l’abitò dal 1423 per 137 anni. Costruita inizialmente come luogo di difesa, fu per questo dotata di cinta muraria, fossato con annesso ponte levatoio e torri di vedetta.
Divenne in seguito dimora rinascimentale, quando il governo di Scandiano passò nelle mani della famiglia Boiardo e fu allora che Nicolò dell’Abate vi dipinse gli affreschi del Camerino, con scene dell’Eneide, trasferiti alla fine del 1700 a Modena alla Galleria Estense.
La Rocca dei Boiardo è il monumento simbolo di Scandiano per importanza storica e culturale con la ricca storia di cui è stato protagonista: dalla famiglia dei Boiardo (in particolare Matteo Maria Boiardo, padre dell’Orlando Innamorato) fino al pittore Niccolò dell’Abate che in questa sede lavorò tra il 1540 e 1543, chiamato dal conte Giulio Boiardo per dipingere il Camerino dell’Eneide e la Sala del Convito o del Paradiso.
Proprio quest’ultima sala ci ha recentemente riservato la sorpresa della riscoperta di una parte importante dell’originario apparato decorativo, che si pensava perduto, e che stiamo restituendo al nostro territorio, e al giusto ruolo ed importanza storica e culturale, con un lavoro già da alcuni mesi.
Il recupero della Rocca ha infatti riportato alla luce, nella saletta che la critica ha correttamente individuato come il Camerino del Paradiso, delle tracce pittoriche decorate da Nicolò dell’Abate attorno al 1540-43 con la raffigurazione delle Nozze di Psiche nella volta e con figure di musicanti nei peducci di sostegno. Contrariamente a quanto è stato affermato dagli inizi dell’Ottocento fino a oggi, il saccheggio operato verso la fine del XVIII secolo dal duca di Modena non ha spogliato completamente la rocca di Scandiano delle pitture dell’artista modenese.
Le tracce di colore individuate nelle lunette hanno sollecitato una campagna di restauri che, promossa dalla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia e avviata dagli operatori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze con la scopertura di diverse lunette e con l’elaborazione dell’idonea metodologia di intervento, ha restituito nell’arco di tre anni, grazie al lavoro del laboratorio Faberestauro di Sesto Fiorentino, le immagini di paesaggi aperti con edifici, città in lontananza e vestigia di antichità, che rivelano la mano esperta del celebre artista modenese prediletto dagli ultimi signori rinascimentali dell’area padana, in un momento che precede di alcuni anni il trasferimento a Bologna e infine il passaggio in Francia.
Attivo a Soragna, Busseto, Sassuolo, Reggio Emilia e Modena su incarico di committenze signorili e delle Comunità, Nicolò dell’Abate si applicò alla decorazione della Rocca di Scandiano raffigurando inoltre, in altro ambiente poi in parte demolito, sempre al piano nobile, soggetti tratti dai libri dell’Eneide con scene disposte sulle quattro pareti, accompagnate, in basso, da un fregio monocromo con battaglie e sormontate da lunette con vedute di paese. L’intera decorazione di questa stanza, incluso l’ottagono della volta con una famosa scena di concerto, fu staccata dalle pareti insieme all’intonaco e trasferita nel 1772 nel Palazzo Ducale di Modena dove è stata conservata, se pure non integralmente a causa di un incendio sviluppatosi nel 1815, fino al passaggio nel Palazzo dei Musei con l’allestimento della nuova Galleria Estense, verso la fine dell’Ottocento. Analoga sorte hanno subito i numerosi masselli nei quali è stata scompartita la decorazione del “Camerino del Paradiso”, le cui lunette, al contrario, non furono staccate, verosimilmente perché le pitture erano già allora occultate da strati di scialbo.
Dopo oltre duecento anni di illustre storia collezionistica e museografica entro il sistema della Galleria Estense, i frammenti superstiti dei due camerini e altri brani di decorazione di analoga provenienza saranno esposti nella sede originaria a documentare uno dei momenti più alti della storia artistica, letteraria e culturale della città di Scandiano e dello stesso ducato estense, quello promosso dalla sensibilità umanistica della famiglia Boiardo tramite le figure di Matteo Maria Boiardo, autore dell’Orlando innamorato, e di Giulio Boiardo, committente delle pitture murali di Nicolò dell’Abate, che circa dieci anni dopo assumerà ruolo di protagonista, al fianco di Primaticcio, nella decorazione del castello di Fontainebleau, residenza della corte di Enrico II re di Francia.
A dar conto della centralità di quei brani di pittura nell’ambito dell’esposizione interverranno altre sezioni, come quella sulla storia letteraria ispirata ai temi epici dell’Eneide e sulla fortuna cinquecentesca del poema, la sezione musicale con l’esposizione di strumenti musicali antichi in rapporto alla centralità delle raffigurazioni musicali nella pittura di Nicolò dell’Abate, la sezione sugli interventi di trasformazione architettonica dell’edificio, la cui visualizzazione è affidata all’esposizione di piante, mappe e progetti, e infine la sezione sulla fortuna ottocentesca delle pitture murali scandianesi di Nicolò dell’Abate, ben documentata dagli scritti di Giambattista Venturi e dalle loro traduzioni incisorie.
L’origine della Rocca di Scandiano è databile al XIII secolo, costruita dai Da Fogliano per funzioni di difesa militare. Con l’avvento della famiglia Boiardo al governo del paese (1423) l’antico fortilizio cominciò a trasformarsi in dimora signorile. I Thiene succeduti ai Boiardo nel 1565, continuarono l’opera d’abbellimento della Rocca, continuata nei secoli XVII e XVIII con i Bentivoglio prima e i Duchi d’Este, che la trasformarono in palazzo monumentale.
L’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze
L’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, nella riscoperta delle pitture della “Camera del Paradiso” si è innestato sul precedente ritrovamento del ciclo al momento in cui la necessaria rimozione dello scialbo faceva temere per l’integrità della sottostante delicatissima pittura. Nell’autunno dello scorso anno infatti la Soprintendenza di Modena e Reggio, nella persona del Dott. Filippo Trevisani, interpellava la Direttrice dell’Istituto fiorentino, Dott.ssa Cristina Acidini, al fine di mettere a punto una metodologia di lavoro idonea e compatibile con l’oggettiva difficoltà di tutta l’operazione. Si trattava cioè di procedere al completo restauro di una delle lunette, intervenendo su questa come su un “campione” o meglio come su un ”oggetto pilota”. Su questo “oggetto pilota” si decise quindi di effettuare tutte le operazioni (documentarie, diagnostiche e conservative) in modo da creare un modello di lavoro valido per tutto il ciclo e giungere così alla redazione di un progetto di recupero dell’intera stanza. A tale scopo è stato necessario conoscere la tecnica pittorica impiegata dal pittore per approfondire la conoscenza sull’attuale stato di conservazione e i relativi processi di degrado. Analogamente sono state prese in esame le vicissitudini storiche e gli interventi pregressi.
Dopo una preliminare fase di ricognizione su tutte le lunette, la scelta è stata rivolta verso la lunetta situata sulla parete nord in prossimità dell’angolo destro. Lo stato di conservazione e la tecnica esecutiva della lunetta prescelta sono apparsi un campione sufficientemente rappresentativo dell’intero ciclo pittorico. Tuttavia si è potuto constatare che ognuna delle pitture presenta alcune particolarità che fanno supporre una situazione estremamente eterogenea.
I primi risultati delle indagini scientifiche indicano che questi dipinti non sono stati realizzati in affresco, ma sono stati eseguiti a tempera su una spessa preparazione simile ad una ammannitura, con una tecnica analoga a quella della pittura su tavola, utilizzando una gamma di pigmenti particolarmente ricca e raffinata, tra cui si può ricordare la Malachite, il Cinabro e la Biacca. La pellicola pittorica è composta da numerose velature sovrapposte fino a creare una consistenza materica densa e corposa. Una pittura così fatta, differentemente da ciò che si potrebbe pensare, risulta particolarmente fragile in quanto non ha per sua propria natura una forte adesione con l’intonaco di supporto.
I dipinti presentano i segni di un improvvido parziale tentativo di scopritura che ha provocato numerose abrasioni e distacchi del film pittorico. Tuttavia si è potuto constatare che la prima scialbatura è stata applicata quando i dipinti erano
già in parte abrasi e degradati. Sulla lunetta scelta si è pure potuta verificare la presenza di ben cinque strati di imbiancature, la cui rimozione è risultata essere particolarmente complessa a causa della delicatezza dei dipinti.
La ricerca di un appropriato metodo di scopritura è stata effettuata seguendo numerosi procedimenti che consentissero il preventivo consolidamento del colore originale, facilitando così la rimozione delle scialbature ad esso sovrapposte. Buona parte della rimozione dello scialbo è stata eseguita con il bisturi assottigliandone lo spessore e alternativamente consolidando il colore con l’uso sia di prodotti di natura sintetica sia di materiali di natura minerale. Successivamente, in alcune zone si è proceduto ad una ulteriore pulitura che ha consentito di rimuovere ed alleggerire lo sporco depositato fra lo scialbo e la pellicola pittorica originale caratterizzato da depositi di origine carbonatica e da filmogeni organici. Infine le abrasioni e le lacune del film pittorico sono state ritoccate con velature ad acquerello in una tonalità lievemente intonata al colore originale. Al fine di ottenere una generale omogeneità di tutto il ciclo pittorico, sia il grado di pulitura sia il ritocco fin qui raggiunto dovranno essere successivamente rivisti per mettere questa lunetta in equilibrio con le altre non ancora liberate dallo scialbo. Inoltre, nel corso dell’intervento, si è potuto osservare che sulla pellicola pittorica è in atto la crescita e lo sviluppo di microrganismi biodeteriogeni, sottoforma di piccoli puntini neri di cui le indagini scientifiche in corso dovranno chiarire la tipologia biologica.
Si deve ricordare che le prove e le esperienze fin qui realizzate pur avendo fornito molte informazioni sulla caratterizzazione dei dipinti, sul loro degrado e sulle metodologie dell’intervento di restauro, a causa della complessità della tecnica esecutiva e della diffusa discontinuità delle condizioni conservative non hanno tanto un carattere esaustivo quanto un valore di puro orientamento generale. Attraverso ulteriori approfondimenti di indagine sarà possibile individuare una appropriata e calibrata procedura su questioni rimaste per il momento irrisolte quali il consolidamento del colore o la rimozione e l’inibizione alla futura crescita dei microrganismi.
La ricerca della metodologia di intervento e l’esecuzione del restauro della prima lunetta sono state realizzate dal gennaio ad oggi a cura dei restauratori Alberto Felici e Mariarosa Lanfranchi con la direzione di Cristina Danti; le indagini chimiche e biologiche sono state eseguite da Giancarlo Lanterna e Isetta Tosini con la direzione di Daniela Pinna; la documentazione fotografica e la fluorescenza in U.V. è stata eseguita da Sergio Cipriani con la direzione di Alfredo Aldrovandi. I lavori sono proceduti di concerto con il Dott. Angelo Mazza della Soprintendenza di Modena e Reggio Emilia. Il Comune di Scandiano si è fatto carico dell’organizzazione generale nonché delle spese relative alle trasferte del personale dell’Opificio.
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